“L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare!”. (Cit: G.B.)

Questa frase la usava un grande campione del ciclismo per descrivere i suoi errori.

Sapete di chi parlo? Forse ve lo racconto in fondo all’articolo, se avete la pazienza di leggerlo.

Il ciclismo è una sport spietato, fai molti sacrifici per arrivare al top, ti da tutto, ma ti toglie tutto in un attimo. Per fortuna non mi succede spesso di cadere dalla bicicletta però quando lo faccio, lo faccio bene, o male dipende dai punti di vista. Mia madre e i miei fratelli diranno sicuramente male. Ed è così, che per la seconda volta, mi ritrovo a letto, per un riposo forzato (la prognosi iniziale è di 90 giorni), dopo una bruttissima caduta, a oltre 60 km/h, questa volta con la bici da strada.

Se il 18 aprile 2022, caddi rovinosamente in una gara di XCO, rompendomi bacino e diverse costole, a Capoliveri all’Isola d’Elba, questa volta il 17 aprile 2024, esattamente due anni dopo, sono caduto in una gara cicloturista su strada vicino a casa, a El Soleràs, Lleida. E anche questa volta incredibilmente mi è andata bene e posso ancora raccontarla. 

Voglio scrivere questo articolo per descrivere le mie sensazioni e trasmettere le emozioni che ho sentito e che ho provato in quel momento e i pensieri che mi passano per la testa adesso, a mente lucida, a due settimane dalla caduta.

Il 16 e il 17 marzo del 2024 mi ero iscritto alla RURAL CYCLING, una due giorni di cicloturismo, Gravel e ROAD, organizzata dagli amici del Club Esportiu Castelldans. Dopo il lungo periodo invernale finalmente si stava avvicinando la primavera e sentivo la mia forma migliorare giorno per giorno. Così ho pensato che due prove di fondo sarebbero state un ottimo weekend per affinare la preparazione in vista dei prossimi impegni. Infatti a inizio marzo avevo appena cominciato con le prime gare del calendario dilettantistico catalano/spagnolo con la mia squadra Equipo EBS.

Così, dopo una giornata del sabato passata in compagnia a sudare e pedalare con la mia Canyon Inflite, bici da ciclocross con assetto GRAVEL, tanti chilometri (140 km per quasi 2.000 m+) e un’ottima performance, con una P4 generale, mi aspettavo le stesse sensazioni e un buon risultato anche la domenica.

Mi ero svegliato poco prima delle sette per fare la solita colazione pre-gara per caricare il “deposito” di carboidrati e proteine. Una bel piatto di fiocchi d’avena con frutti secchi vari e frutta fresca ricca di vitamina C e antiossidanti (di solito kiwi e mirtilli). Il tutto mischiato con uno yogurt e miele. Un tè, un caffè e via pronti per partire. Solo 20 minuti di auto da casa, che storia!

Arrivo a Castelldans verso le otto del mattino, la partenza è fissata alle nove. Vado a prendere la borsa del corridore, saluto qualche amico e mi preparo con la mia solita routine pre-partenza. Attacco il numero sulla bici, controllo la pressione de pneumatici e riempio le borracce d’acqua. Mi vesto, indosso le mie scarpe e il casco ben allacciati, riempio anche le tasche del cibo necessario per le prossime ore sulla sella e sono pronto per un breve riscaldamento. Mi incrocio con un paio di amici del C.C. Lleida e decidiamo di andare verso l’arco di partenza perché ormai mancano pochi minuti.

Con un po’ di sorpresa ci troviamo in fondo allo schieramento, anche se pochi minuti prima non c’era nessuno. Abbiamo già tanta gente davanti ma confidiamo che si partirà con calma (è una cicloturista), e avremo tempo di passare davanti. E invece non è così, nei pochi km di percorso cittadino il gruppo di ciclisti si allunga già tantissimo e noi ci ritroviamo già all’uscita del paese con un gap di oltre 800 metri da recuperare dal primo gruppo tirato dagli irriducibili ciclisti di Ponent.

Io, Issac e David ci ritroviamo assieme a cercare di recuperare il tempo perso, e ci mettiamo a menare forte. Sorpassando piano piano tutti i ciclisti che si staccavano, riusciamo a recuperare la coda del primo gruppo dopo 9 km circa, dopo un su e già costante proprio all’ingresso del paese successivo,  l’Albagés. Purtroppo per noi anche i volontari  dell’organizzazione a bordo strada ci “mettono i bastoni tra le ruote”. Infatti ad un bivio, dove immagino ci sia la biforcazione dei percorsi, medio e lungo, ci indicano di svoltare a sinistra, facendoci sbagliare strada e perdere secondi importanti.

Io me ne rendo conto e giro in fretta la bici e torno indietro ma i secondi trascorsi sono sufficienti per perdere di nuovo la scia delle moto a seguito della testa della gara. La delusione aumenta, ma subito me ne faccio una ragione. Scuotendo diverse volte la testa, penso tra me e me che sono un cretino, perché sapevo che il percorso era dall’altra parte, e quindi è solo colpa mia. Riprendo l’inseguimento e cerco di ritrovare in fretta il ritmo di pedalata.

Ora mi ritrovo da solo, perché David si era leggermente staccato sulla salita per entrare in paese, e Isaac non è stato tanto reattivo quanto me nel fare inversione. Continuo con un buon ritmo, e risorpasso un gruppo di ciclisti superati poco prima del l’Albagés. Dopo un veloce tratto di discesa c’è un altro pezzo in salita di circa 4 km, spingo a fondo sui pedali per recuperare il tempo perso e sorpasso altri ciclisti.

Mi sento bene, la forma è ottima, e nonostante i chilometri del giorno prima con la bici da gravel, sento che ho ancora molte energie. Vedo in lontananza il gruppetto di testa che è composto ormai da pochi ciclisti, i migliori della giornata. Ho ancora un bel pezzo da recuperare. Siamo solamente al quindicesimo chilometro dei 125 km in programma. 

Sono costretto a tirare da solo al mio ritmo se voglio prenderli. Scollino l’ultima rampa di questo tratto in salita sorpassando un ciclista con la maglia gialla e mi lancio in discesa verso El Soleràs, il prossimo paese. Cerco di recuperare un po’ di energie nel primo tratto in discesa. Conosco questa strada ma è da un anno che non la faccio in questo senso. C’è una tratto rettilineo di circa 500 metri dove si prende molta velocità e poi una doppia curva molto secca. La seconda curva è un po’ chiusa ed è abbastanza tecnica, con una leggera inclinazione della carreggiata verso l’interno della curva.

Entro nella prima curva a destra ad oltre 60 km/h. Tocco un po’ i freni per cambiare direzione verso sinistra per entrare nell’altra curva. Avendo la strada chiusa per la gara taglio completamente la curva nell’altra carreggiata per uscire più veloce e perdere meno tempo possibile, ma l‘effetto parabolica della strada mi proietta ancora più forte verso l’esterno della curva. Con mia sorpresa mi trovo della ghiaia a bordo strada che mi costringere a correggere la traiettoria di curva e tirar dritto!

In quel momento non so cosa mi sia passato esattamente per la testa. Forse ho pensato: cazzo, se tocco i freni vado per terra sull’asfalto. Forse è meglio tirare dritto e utilizzare la via di fuga nella cunetta per poi cercare di correggere la traiettoria fuori strada, con meno velocità. Ho tirato i freni a fondo. Ho ridotto un po’ la velocità, ma non a sufficienza. Il Garmin mi ha registrato una velocità appena fuori dalla carreggiata di 51 km/h. Dopodiché ricordo un piccolo salto e di cercare di stare in piedi a bordo strada nella cunetta, la velocità registrata qui era già sui 40 km/h, ma probabilmente una pietra o lo stesso impatto con la terra ha spezzato in due la ruota anteriore è io sono stato proiettato contro una pietra di testa.

L’impatto l’ha assorbito completamente il mio casco, la mia testa e la mia colonna vertebrale. Il Garmin in quel momento ha registrato una salto di oltre sette metri iniziato ad una velocità di 36 km/h. Probabilmente è stata la bici che dopo avermi disarcionato, contro la pietra, è poi volata via per l’inerzia della caduta.

Sta di fatto che io mi sono ritrovato per terra, frastornato, cosciente, ma mi hanno detto che gridavo tremendamente per il dolore. Non ho perso conoscenza ma quando il colpo è così forte, il dolore è così grande che non sai esattamente cosa ti stia succedendo. È come se il tempo si paralizzasse e ti senti bloccato fino al prossimo respiro. Sembra che passino minuti, ma invece sono attimi di secondo.

Il ragazzo con la maglia gialla (che avevo sorpassato scollinando), mi si era messo a ruota nel primo tratto in discesa. Dopo ho saputo chi era e mi ha telefonato per raccontare cosa ha visto. Mi ha detto che è stato veramente un impatto tremendo e che mi potevo ritenere ben fortunato di poterlo raccontare. Devo dirgli veramente grazie perché è stato lui, Armengol (così si chiama) che, dopo i primi minuti di blackout mentre ansimavo e deliravo dal dolore, a calmarmi e cercare di tenermi tranquillo.

Appena ho capito dove era il dolore ho sentito che c’era qualcosa che non andava. Ho sentito lo stesso dolore delle costole rotte, già provato due anni prima, e quindi ho capito che era meglio restare fermo per terra così com’ero. Così siamo stati li diversi minuti, sorretto da Armengol prima e dagli altri soccorritori che pian piano sono arrivati. L’ambulanza ci ha messo un po’ ad arrivare, ma non aveva medici specializzati a bordo. Così è pure arrivato un elicottero con le dottoresse poco dopo, che mi hanno fatto delle analisi più specifiche.

Quando ho visto la dottoressa che mi toccava gambe, braccia e piedi, chiedendomi se sentivo che mi toccasse, ho realizzato che probabilmente questa volta davvero mi era andata bene. Rispondevo a tutti gli stimoli e per fortuna, e per fortuna non sono rimasto paralizzato!

 

Sarà che con la fortuna non si scherza. Si dice anche che non c’è due senza tre, ma non starò ad aspettare che succeda di nuovo. Poi è anche vero che non è detto, a volte la sfiga ti prende anche quando sei tranquillo e non stai scendendo a 60 km/h. Pero quest’anno a giugno farò quarant’anni ed è arrivato il momento di prendere una decisione.

Sono tornato a gareggiare dopo 10 anni di stop per una promessa che avevo fatto a me stesso e in ricordo di mio padre. Sono riuscito a tornare a dei livelli altissimi, sono riuscito a vincere delle gare, sono riuscito a stare al top del ciclismo su strada, nel ciclocross e nella mtb, in Spagna in Italia e anche a livello mondiale nel Gravel. Quest’anno probabilmente sarei andato ancora più forte, visto i numeri e le sensazioni che miglioravano.

Ma per fortuna la vita ti manda dei messaggi e chi non li vuole vedere è cieco. Io si, li voglio vedere e voglio vivere. Quest’anno poi mi aspettano altre avventure più importanti che ci cambieranno la vita. Così ora che ho tempo e avrò diversi mesi per fare la riabilitazione è arrivato il momento di riflettere sul futuro che verrà a breve e su altri grandi progetti nel cassetto e nella pancia. Cari amici e care amiche ci vediamo di nuovo in strada, per fortuna potrò di nuovo pedalare tra qualche mese, ma è quasi sicuro che lo farò con molta più calma e senza necessità di ricercare di nuovo il mio limite, perché ho già visto dov’è.

“L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare!”

Concludo questo articolo spiegandovi il titolo per chi non l’avesse ancora capito. La citazione e di Gino Bartali che spesso commentava i suoi errori e le sue cadute in gara con questa frase che potete vedere anche in questo video: https://www.facebook.com/watch/?v=10155401184419172

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