Solo le 13:50 e sono già in griglia di partenza. Un’altra volta un altra gara. Questa stagione è iniziata molto presto con il mio nuovo Equipo OLEKA (la prima gara il 30 gennaio) e questa è già la mia tredicesima gara dell’anno, ma la prima di XCO e a questi livelli, la Capoliveri Legend Cup XCO, prova valida per gli Internazionali d’Italia Series. Chiamano il mio nome all’altoparlante, ho il numero 63, sono in penultima fila, dietro di me solo pochi atleti. Davanti i campioni nazionali e internazionali: Braidot, Colledani, Avondetto, Freischknecht, etc.
Sono venuto in vacanza con la Marina e la mia famiglia. La promessa era poca bici e più turismo, e così è stato fino a sabato. Mio nipote Martino ha già gareggiato la mattina, una buona gara anche se non è in ottima forma, ha appena passato il covid. Così anch’io ho detto già che ci sono, approfitto e faccio la gara.
Il percorso l’avevamo visto il giorno prima con Martino, due giri di ricognizione, passaggi a piedi sui pezzi più tecnici del tracciato, propio come una prova di coppa del mondo se non più pericoloso: rockgarden tosto, dove devi alzare la ruota anteriore in un paio di passaggi per evitare di toccare sotto con la corona, discesa estrema antecedente al rockgarden, con diversi cambi di pendenza, diversi drop lungo tutto il percorso, sponde, pietre, tronchi, passerelle, etc. Un percorso molto veloce e molto tecnico, dove bisogna stare attenti sempre, poche zone per respirare e rilassarsi.
Pochi minuti alla partenza, la Marina e gli altri mi salutano: per un momento in griglia di partenza osservo intorno a me, scruto i miei avversari e penso “Ma io che ci faccio qui?”. È un pensiero che mi sfiora per un attimo e sento anche qualcosa che mi blocca, che non mi vuole far partire, è una strana sensazione che non ho mai provato fin’ora, ma poi mi distraggo, forse lo speaker o forse il cronometro e il pensiero sparisce e siamo già al conto alla rovescia. Tre, due, uno e via!
Sulla prima salita riesco a recuperare diverse posizioni e mi ritrovo in mezzo al gruppo. I primi sono già lontani, ma io faccio il mio ritmo e mi posiziono circa alla trentesima posizione solo nel primo kilometro di gara. Ottima partenza! Arriva il primo passaggio tecnico nel boschetto, curva in discesa sui tronchi dove sorpasso all’esterno diversi atleti, subito dopo una doppia linea sulle passerelle e rocce, con doppio salto e saltino finale, anche li passo via spedito. Poi arriva un tratto veloce, con sponde e cambi di direzione continui con molto flow, un rockgarden con un salto finale con una curva secca destra e vado via liscio e spedito, a caccia di altri due atleti davanti a me. Un altro tratto in flow molto veloce prima di avvicinarmi al punto in cui è finita la mia gara.
Io l’ho chiamato panettone, perché aveva proprio la sua forma, un salto in entrata con una zona piatta sopra e poi un salto in uscita nel vuoto. Qui vi lascio un paio di video per capire di cosa parlo (il salto in uscita e qui si vede nella prima clip di Fede sopra il panettone che fa il salto in uscita). Non era un passaggio particolarmente difficile, ma ho commesso un errore fatale che mi è costato il più grosso infortunio della mia vita.
Sono entrato troppo veloce nel primo salto, ho sbagliato completamente a tracciare la linea di uscita del secondo drop e oltre a saltare troppo lungo per la velocità, non sono riuscito a controllare l’atterraggio! Almeno sei metri di volo, se “Pedalare è un po’ come Volare”, dal motto di questo mio blog, oggi ho letteralmente volato! Mi ricordo solo vagamente la ruota anteriore slittare sulla polvere verso sinistra e poi andare giù come un sacco di patate sul lato destro. Poi più nulla il vuoto, il buio più totale!
(I soccorritori dell’Assistenza di Capoliveri, poi mi hanno riferito che c’era anche una persona con una maglietta rossa a filmare o fare delle foto. Se per caso leggi queste righe ti prego, mandami le foto, così riesco a ricostruire l’accaduto).
Alcuni flash delle persone a me care che mi dicevano qualcosa nella tenda del primo soccorso, mio fratello, Marina, mia mamma e poi qualche flash del viaggio in ambulanza fino al pronto soccorso a Portoferraio! Un esperienza che non raccomando a nessuno! Avevo già avuto un incidente con commozione celebrale in una gara su strada da allievo, ma un botta così forte non me la ricordavo.
Dopo varie analisi, TAC, radiografie, hanno visto che oltre alla forte botta in testa ho riportate la frattura del bacino in due punti e 4 costole rotte (la II, III, IV e V del lato destro). Un altra TAC il giorno successivo, una visita della neurologa hanno scongiurato conseguenze gravi, e così sono qui che ve lo posso raccontare con le mie piene capacità mentali. Me la sono vista brutta ma poteva andare peggio. La MTB è un sport di rischio e lo facciamo ben consapevoli, ma a volte le conseguenze non le possiamo nemmeno immaginare. Ora mi tocca stare trenta giorni sdraiato a letto, non posso caricare peso sul bacino. Riposo assoluto e posizione orizzontale fino a che non si calcificano le fratture, per fortuna tutte composte.
Sono passati già passati dodici giorni e vi assicuro che è una brutta esperienza restare a letto senza poter far poco o nulla. Anche questa sarà una dura prova. Ma tornerò presto a pedalare, di questo ne sono sicuro. Ringrazio per questo l’ANPAS Toscana che mi ha raccolto sul campo di gara e portato all’ospedale nel minor tempo possibile e i medici di Portoferraio per le analisi fatte e l’organizzazione della gara per l’appoggio.
Un abbraccio forte a tutta la mia famiglia a cui ho fatto prendere un bello spavento, alla Marina che senza di lei non saprei come fare e a tutti voi che mi avete scritto e mi state vicini in questo momento difficile e lungo da superare!
Una cosa è sicura, che ricorderò per molto tempo questo esperienza all’Isola d’Elba e che il pezzo di percorso più tecnico che ci preoccupava di più in allenamento, non sono riuscito neanche a farlo in gara! Qui il video che forse avete già visto sul mio instagram.